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CONSIDERAZIONI E RIFERIMENTI NORMATIVI
IN ORDINE ALLA RIVENDICAZIONE E TASSAZIONE DEGLI INTERESSI DI MORA SCATURITI DALLE TRANSAZIONI COMMERCIALI IN SEGUITO ALLA EMANAZIONE DEL
“D.Lgs. 9 ott. 2002/ N. 231”

L'attuale regime fiscale e di bilancio degli interessi moratori, quale conseguente al D. Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 emanato in attuazione della Direttiva Europea 29 giugno 2000/35/CE sulla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, pone una serie di problemi giuridici ed applicativi rispetto ai quali non appare sempre possibile in concreto adottare una soluzione adeguata e di certa affidabilità.
Tali problemi derivano essenzialmente dal fatto che attualmente gli interessi moratori concorrono alla formazione dei reddito imponibile del creditore secondo l'ordinario principio di competenza e che, in base al regime legale introdotto dalla nuova disciplina del D. Lgs. N. 231/2002, essi competono automaticamente al creditore dalla scadenza indicata e nella elevata misura stabilita dalla legge, e senza necessità di costituzione in mora, salvo diverse previsioni patrizie sottoposte al rigorose condizioni e limiti di validità (soprattutto considerando che i motivi che frequentemente fondano in concreto simili accordi derogatori sono proprio quelli che il legislatore ha inteso colpire, anche con sanzioni di nullità rilevabili d'ufficio).
Ciò mentre nella prassi - in diffuse situazioni per varie ragioni - tali interessi non vengono di fatto riscossi dal creditore.
Nell'attuale regime esiste quindi per il creditore il concreto rischio di ritrovarsi esposto ad un accertamento dell'ufficio finanziario che, riscontrata in sede contabile l'effettuazione della transazione e la data del relativo pagamento, provvede a recuperare a tassazione gli interessi moratori dovuti ex legge in difetto di diverse pattuizioni derogatorie, ovvero disconosca la validità di eventuali pattuizioni in quanto considerate operate in violazione dei divieti e dei limiti posti dalla nuova normativa (da cui discenderebbe appunto la nullità - rilevabile d'ufficio - e delle relative clausole, con conseguente applicazione sostituiva del regime legale). E questo potrebbe verificarsi anche nel caso in cui, contabilizzati gli interessi moratori effettivamente maturati sulla base del regime legale o di quello pattizio eventualmente stabilito, il creditore provveda in seguito ad effettuare la relativa svalutazione od accantonamento, oppure rinunci agli stessi interessi.
Si tratta di profili di rischio per il creditore che risultano poi particolarmente accentuati qualora, come avviene di frequente nella prassi, la condotta complessiva delle parti appalesi sintomatica del fatto che gli interessi moratori non vengono richiesti o pagati non già per ragioni di natura oggettiva, ma per consentire al debitore di procurarsi liquidità non dovuta a spese del creditore (come ad esempio, nel caso in cui il creditore che concede lunghi termini di pagamento o concordi tassi di interesse inferiori all'uso sia a sua volta ricorso a finanziamenti esterni, magari a tassi maggiori di quelli praticati al suo debitore; ed analogamente potrebbe sostenersi nelle ipotesi in cui il creditore venga regolarmente pagato, seppure in ritardo, della somma capitale dal debitore suo cliente abituale, che dimostra così perfettamente solvibile almeno rispetto ai debiti pregressi).
Questi problemi appaiono ora destinati ad essere in larga misura superati per effetto delle modiche al Tuir (approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986,n. 917), contenute nel disegno per l'adeguamento del vigente sistema fiscale alla riforma del diritto societario appena elaborato dalla Commissione Gallo.
L'intervento normativo prospettato, nel dichiarato intento di adeguare il regime fiscale alla nuova disciplina degli interessi moratori sulle transazioni al fine di evitare problemi applicativi per la generalità dei contribuenti interessati, prevede infatti - mediante l'aggiunta del comma 5-ter all'art. 75 del Tuir - che "In deroga al comma i gli interessi di mora concorrono alla formazione del reddito nell’esercizio in cui sono percepiti o corrisposti", con contestuale correlativa abrogazione del comma 6 dell'art. 71 del Tuir (concernente i limiti alla deducibilità di accantonamenti e svalutazioni per crediti inerenti ad interessi moratori).
La stessa proposta di modifica normativa stabilisce inoltre l'applicabilità del nuovo regime, valido anche per le imprese minori, con effetto retroattivo dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore della nuova disciplina sugli interessi moratori (8 agosto 2002), ponendo tuttavia una clausola di salvaguardia per i comportamenti già adottati sulla base delle disposizioni del Tuir anteriori alla prospettata modifica.
In questo modo, prevedendo la rilevanza ai fini della formazione del reddito imponibile degli interessi moratori solo se, nella misura e nel momento in cui questi siano effettivamente corrisposti, la riforma supera di fatto sul piano fiscale ogni problema concreto inerente alla presenza o validità di pattuizioni contrattuali derogatorie o concernente le stesse ragioni soggettive od oggettive del mancato pagamento degli interessi maturati, non più conferente rispetto all'unico fallo rilevante dell'avvenuto pagamento.
Ovviamente nell'effettuare o nel ricevere i pagamenti relativi alle transazioni commerciali interessate occorrerà tenere ben presenti le regole civilistiche sull'imputazione di pagamento, ed in particolare il combinato disposto degli artt. 1193 e 1194 del codice civile, secondo cui il pagamento eseguito senza imputazione specifica deve essere imputato agli interessi moratori scaduti prima che al capitale.
Per altro profilo la riforma prospettata supera anche il problema della deducibilità in sede di formazione del reddito imponibile degli interessi moratori da parte del contribuente debitore.
lnvero nella prassi comune si è sempre data per scontata la deducibilità da parte del debitore degli interessi moratori dovuti.
Tale certezza è stata tuttavia autorevolmente posta in dubbio da una recente pronuncia -peraltro poco nota ed unica sull'argomento - della Suprema Corte secondo cui, con riferimento espresso anche agli interessi moratori, nella determinazione del reddito di impresa ai fini delle imposte sui redditi non sono deducibili i costi conseguenti alla mora debendi del contribuente nei confronti di terzi, e ciò sul presupposto che la mora debendi non costituisca un costo correlato ad attività da cui derivano ricavi che concorrono a formare il reddito (condizione richiesta dall'art. 75, comma 5, del Tuir per la relativa deducibilità).
Pur in assenza di una specifica giustificazione sulle ragioni della ritenuta non inerenza di simili costi ad attività produttive di ricavi concorrenti alla formazione del reddito imponibile,il principio della deducibilità di questo genere di costi è stato asserito dalla Suprema Corte in termini assolutamente chiari ed univoci, secondo una affermazione esplicata in via generale ed astratta che prescinde del tutto dalla valutazione della specifica fattispecie concreta: per la Corte il tardivo adempimento costituisce un fatto generatore di costi che non può ritenersi in quanto tale correlato alla produzione di ricavi.
Ora invece il nuovo testo dell'ad. 75 del Tuir, quale prospettato nella bozza di riforma, affermando espressamente che gli interessi moratori concorrono alla formazione del reddito nell'esercizio in cui sono percepiti o corrisposti riconosce in linea generale l'inerenza, e quindi la deducibilità, di tali interessi da parte del debitore che li corrisponde, sempre se e nel momento in cui sono effettivamente corrisposti.
La riforma proposta, risolvendo in ambito fiscale i principali problemi derivanti dal nuovo regime degli interessi moratori introdotto dal D. Lgs. N. 231/2002, lascia tuttavia inalterate le questioni che si pongono sul piano civilistico per la formazione del bilancio.
Occorre in proposito sottolineare che la svalutazione del credito per interessi moratori non costituisce una scelta assolutamente discrezionale da pane del creditore, ma postula ontologicamente la ricorrenza del suo presupposto sostanziale, ovvero laimpossibilità o prevedibile difficoltà di riscuotere in tutto o in parte i crediti in questione. Ciò dovrebbe comportare la preventiva verifica (e documentazione) della sussistenza di tale condizione, derivante, ad esempio, dall'esperimento di azioni positive - monitorie, esecutive o comunque recuperatorie - inutilmente attuate per il soddisfacimento del credito da interessi moratori, o comunque, l'esistenza di condizioni che rendano inutile o antieconomica un'azione volta al recupero del credito maturato.
Parimenti il debito inerente all'interesse moratorio in questione sorge ex lege, nel tempo e nella misura prevista dalla medesima normativa, configurando un debito certo, liquido ed esigibile che deve trovare corrispondente rappresentazione nel bilancio del debitore.
In questo contesto una eventuale rinuncia agli interessi moratori da parte del creditore, intervenuta posteriormente alla maturazione degli stessi, deve comunque risultare da atti espressi o da comportamenti univoci e concludenti, non potendo essere semplicemente presupposta o implicitamente supposta dal debitore in sede di formazione del proprio bilancio. Comportamenti quali la tolleranza del creditore nel ricevere i pagamenti abituali oltre il termine, l'accettazione anche senza riserve del pagamento tardivo della somma capitale, la mera accettazione del pagamento del capitale ancorché eseguito dal debitore a titolo di saldo, il rilascio di quietanza al debitore, non legittimano la presunzione di una volontà di rinuncia da parte del creditore agli interessi moratori maturati, salvo che ciò emerga da specifici elementi di fatto o dal complesso contenuto del documento.
Occorrendo, la EUROcrediti SrI sì farà parte diligente nel redigere (per le pratiche gestite dalla stessa e/o Società del gruppo) lettera ad hoc, sì da fare emergere la presunzione di non convenienza ad intentare azione giudiziale e/o a proseguire la stessa, a giustificazione della rinuncia agli interessi moratori maturati ex lege.

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